Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/257


la guerra all'invisibile 247


Da una fenditura un palombaro vide oscillare una mano. L’afferrò: essa cedette. Era distaccata. Ed egli venne a galla portando quell’avanzo, una mano larga, rude e pesante, dalle dita rattratte, la mano di un atleta che si afferra, piena della espressione di uno sforzo disperato. I marinai l’hanno sepolta piamente sotto una croce sugli spalti del forte di San Pietro.

La catastrofe era avvenuta alle due e un quarto del pomeriggio. Vuol dire che il sottomarino aveva viaggiato di notte, si era trovato all’alba all’entrata del golfo, e piano piano, immerso, era venuto al nord, fermandosi ed affondandosi quando vedeva delle navi, risalendo a fior d’acqua appena i rumori si estinguevano nel microfono, continuando guardingo. Si disponeva a rifare di notte il tragitto, nascondendosi, fuggendo, con la pavidità dell’assassino.


Il sottomarino da attacco, quello che ferma le navi, lancia siluri, tira cannonate, rischia almeno qualche cosa, deve avvicinarsi alla vittima, non può interporre distanze infinite fra sè stesso e il proprio delitto, e sembra quasi leale paragonato al sottomarino posa-mine che dispone il massacro e sparisce.

La struttura delle due navi deve differire profondamente. Ogni sbarramento che noi abbiamo pescato era composto di dodici torpedi-