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la rappresaglia 231


L’idrovolante ferito oscilla trascinandosi appresso un guidone turbinoso di fiamme e di fumo. Un attimo dopo le fiamme si torcono alte, e il fumo nero e denso si sprigiona a cumuli. L’ala superiore arde. L’apparecchio s’inclina a sinistra e repentinamente precipita di fianco. Non è più che un vortice fumoso che piomba, s’inabissa, sparisce, inghiottito dalla nebbia bassa che si è addensata da poco sul mare e lo nasconde.

Il velivolo vittorioso scende con un largo giro ed esplora, per soccorrere i naufraghi se è possibile. A duecento metri di altezza scorge sotto di sè, tutta velata, l’incessante agitazione delle onde, grigia e deserta. Niente vi galleggia. Nessuna traccia del dramma fulmineo. Il mare ha tutto nascosto.

Irriflessivamente, il pilota, ancora ebbro del combattimento, riprende la rotta della caccia. Vuole inseguire gli altri. «No, no!» — gli urla il compagno. «Disarmati!» — ed agita avanti ai suoi occhi l’ultimo proiettile rimasto. — «Uno solo! Uno!». L’uomo al timone ha capito; vira e getta uno sguardo alla bussola. L’ago calamitato non si muove. La bussola è guasta. Tutto intorno, la nebbia che la sera infoltisce. Sotto, il fremito sconfinato delle acque pallide. L’idrovolante è sperduto.

Per la prima volta i due giovani marinai, i due fratelli, provano un senso vago di sgomento. Cercano di orizzontarsi dalla corsa delle onde