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220 la guerra nell’aria


to a sollevare la salma dell’amico, con una mano sola, energica e pietosa.

La sua ferita dolorava. Caldo il sangue gli colava sul viso di fra le imbottiture del casco e si gelava al vento della gran corsa nelle altitudini dell'atmosfera. Con la mano guantata si asciugava ogni tanto gli occhi, sotto al cristallo della maschera, che gli si velavano di una nebbia rossa.

Non era più un uomo, era una volontà vivente. Non arrendersi, non cedere, riportare dal cielo all’Italia la sua nave volante ed i suoi morti: questo il suo pensiero grande, unico, febbrile. Tutta la sua vita era nel volo, il suo cuore era nella macchina. La sua anima piena di energie incommensurabili, si esaltava e spasimava nella visione delle nostre terre, lontane e nebulose, dalle quali saliva verso di lui come un immenso appello materno, la voce intensa di un richiamo prodigioso, ardente, appassionato, senza fine.

Filando verso Gorizia passava sull’invito di vallate facili all'atterramento, vedeva svolgersi molli pianure allettevoli adatte alla discesa, e sentiva mancargli le forze. Si sentiva spegnere. Ma volava, volava, e l’aeroplano tragico filava nelle luminose profondità dello spazio, condotto da un’agonia. Tutto questo valore e tutto questo martirio veleggiavano trionfalmente nel cielo come una apoteosi del sacrificio.

All’eroe ferito il viaggio pareva eterno. Non