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sul vertice del monte nero | 193 |
legamento; dei nuclei d’uomini vivono disseminali sul nevaio. Di tanto in tanto il sentiero devia, si sprofonda fra pareti di ghiaccio, e conduce a un piccolo rifugio, sepolto nella neve, una specie di abitazione esquimese, calda e oscura, nella quale arde un fuoco, bolle una pentola, e degli alpini si aggirano taciturni. La tormenta non può sorprendere mai lontano da uno di questi posti. E pure non vi si può far giungere neanche il proprio grido di aiuto, impercettibile stridore dell’insetto umano quando l’uragano sferra il suo urlo possente e mostruoso. Chi si disorienta è perduto. Se non incontra la voragine, gira penosamente intorno allo stesso punto, percorre e ripercorre lo stesso cerchio, finché si ferma per sempre come un automa spezzato.
Così, in certe sinistre giornate invernali cominciate in un raggio di sole, della gente è partita dalla vetta o per la vetta del Monte Nero, ed è scomparsa nell'immensità e nell'eternità. Tornata la calma, la montagna appare rinnovata, splendente, intatta, senza un’orma, con le sue nevi vergini che sembrano dire: Nessuno è mai passato di qui!
«In inverno non si sa mai — spiegava l’ufficiale che mi precedeva porgendomi premurosamente la mano nei passi difficili presso alla cornice. — La tormenta può arrivare in pochi minuti, un cambiamento di vento....»
Barzini. Fra le Alpi, ecc. |