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186 la montagna delle folgori


la macchina di qualche teleferica, lanciata attraverso i valloni. La nebbia si andava diradando. Un po’ di cielo azzurro traspariva in uno sfilacciamento di cirri. Poi, in qualche minuto, per uno di quei capricci che ha il tempo nell’alta montagna, ci siamo trovati nel sereno.

La massa delle nubi era discesa. Si distendeva ora sotto a noi, simile ad un mare in tempesta. Copriva le vallate, copriva le pianure, si addensava in basso, varia, tumultuosa, lenta, vasta, con un’agitazione tranquilla di cumuli che sembravano immensi e pigri marosi, accesa qua e là dal sole già declinante, come forata da lunghi raggi obliqui, nera e procellosa nell’ombra delle vette, squarciata da trasparenze perlacee attraverso le quali scintillava incerto un serpeggiamento dei fiumi. Si adagiava ad uno stesso livello, si insinuava nei greti, dava alle profondità della terra gli aspetti di un cielo burrascoso; e nettamente, dalle onde vaporose di quel fantastico oceano di nuvole, sorgevano nell’aria pura e luminosa tutte le sommità dei monti, tutte le creste, tutte le vette, un favoloso arcipelago di rocce e di nevi.

Ci siamo fermati ad ammirare con un senso di stupore e quasi di sgomento la cima del Monte Nero, avanti a noi, sopra di noi: una specie di muraglia immane, dirupata, oscura, così alta che pareva non fossimo ancora che all’inizio dell’ascesa, enorme e impossibile. Fra