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verso la vetta del monte nero 183


bio delle staffette. Un picchiare di ascia, vicino; qualche alpino fa legna nel bosco. Dalla piccola porta oscura del rifugio esce il fumo del rancio. Dei soldati si fanno sulla soglia e salutano. Dànno informazioni sulla strada. Le comunicazioni sono ristabilite. Trecento uomini hanno riaperto i camminamenti sulle valanghe cadute ieri. I muli arrivano al posto Numero Otto. «Buon viaggio!» — «Addio!» — E la solitudine ci riafferra.


Una canzone lontana sale melanconica dal baratro, nella nebbia. Sono forse dei carbonai, su qualche balza. La legna da ardere pesa troppo per essere portata alle vette, e ogni compagnia, ogni batteria, hanno i loro soldati carbonai che lavorano a preparare combustibile per gli estremi rifugi. Ad un tratto uno scalpitìo serrato, si avvicina, ci segue, ci raggiunge, rimandato dagli echi. È una carovana di muli. «Ehi, laggiù! Un momento!» — il sentiero in molti punti è angusto, bisogna lasciar passare i muli carichi cercandosi ai suoi bordi uno spazio dove aspettare, fra i macigni. «Avanti!» — Si ode il grido gutturale dei conducenti, e lo scalpitìo che era sopito si risveglia. La carovana avanza.

I muli in lunga fila, con le narici fumanti la testa bassa, i muscoli gonfi sotto la pelle madida, salgono con passo vigoroso, lento e irregolare, pieni di una non so quale volontà