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verso la vetta del monte nero 181


le intestina e le corna del bestiame abbattuto, che manipola persino squisite conserve salmistrate per i depositi dei viveri di riserva, una fatica titanica crea opere gigantesche ed eterne. Essa taglia le rocce, amplia i sentieri, buca, morde e doma la montagna ribelle, a colpi di piccone, a colpi di trivello, a colpi di mina.

Dove la salita comincia a farsi più ripida avevamo visto un alpino barbuto, un atleta, che scolpiva delle enormi lettere sopra un macigno. Battezzava la strada, che è nuova. La battezzava col nome del suo battaglione: «Via Exilles». Romanamente, faceva della roccia un grande cippo commemorativo. E come le strade militari sulle quali avanzava il dominio di Roma, quella audace mulattiera che scala le pendici del Monte Nero attraverso la selva, serpeggiando sui dirupi, scavalcando torrenti, è tutta selciata. Un lavoro enorme. Bisognava che il sentiero resistesse ad ogni traffico, che sopportasse, occorrendo, il peso delle artiglierie, che non venisse mai interrotto dal precipitare impetuoso delle acque nell’epoca dei disgeli e delle piogge, e gli alpini vi hanno composto un acciottolato ciclopico, rafforzato da tronchi d’albero.

Si sale sicuri ora fino alle pareti di Kozliak, e movendo il passo lento nell’ascesa si pensa con un sentimento di devozione allo sforzo meraviglioso, alla fatica smisurata, che hanno tagliato e trasportato ogni pietra, ogni tronco,