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fra le nevi del kozliak 171


lo Javorcek, al di là della conca di Plezzo, i nostri attacchi alla cima furono fermati da un precipitare di massi. Dopo le nevicate, l’artiglieria batte le cime dei canaloni sul lato nemico per far precipitare le valanghe. La lotta acquista ampiezze titaniche.


Era già notte, e ancora potevamo distinguere lontano, sulla tempesta delle vette, i monti della Carnia e del Cadore, lividi, nuvolosi, incerti. Un balenìo di razzi illuminanti sorgeva dallo Javorcek e ravvivava intorno il candore delle nevi. Sopra a noi, vicina, smisurata, dominatrice, così alta che contemplandola pareva che guardassimo il cielo, la punta estrema del Monte Nero.

La cuspide immane si avventava verso le prime stelle, e il suo vertice si fondeva nell’azzurro della sera. Era una gran parete a declivio ripido, bianca, vertiginosa, troncata a picco sui fianchi, che saliva, saliva, e non aveva fine. La vedevamo come un informe triangolo, il cui vertice spariva nell’immensità. A poco a poco si oscurava, e alla fine non fu più che un’ombra immensa che copriva un gran lembo del cielo, simile all’addensarsi di una tempesta nella notte stellata.

Rilucevano le finestrine dei rifugi. Si udiva sorgere il brusìo di gente invisibile nei camminamenti. Il riflesso di una lampada ha per un istante illuminato un affollamento fanta-