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164 la montagna delle folgori


Il sole tramontava quando siamo arrivati ai rifugi della Sella. Qualche granata passava ululando rasente la cresta: «Toh, il nemico! — Lo avevamo quasi dimenticato. Calzate degli enormi stivali eschimesi, coperte di pellicce, i guantoni felpati alle mani, la testa avvolta dal passamontagne e sormontata dal casco di acciaio, delle vedette andavano alle piccole trincee avanzate, e si imbucavano nel gelo.

In una limpidità meravigliosa, tutte le vette, tutte le creste, screziate dal bruno delle rocce, coperte di nevi luminose e violastre, soffuse di ombre azzurre e nette, si ergevano intorno maestose, con un non so quale slancio irrompente.

Vive ed accese balzavano su dall’oscurità torbida delle vallate, come cercando nel cielo gli ultimi fantastici riflessi del tramonto. Pareva che la terra tenebrata, già sommersa dalla notte, levasse disperatamente nella luce ondate immani di pietra e di gelo, dai profili pieni d’impeto che sembrano esprimere uno sforzo favoloso di ascesa.

Dalla Sella Kozliak, lo sguardo domina i due versanti della catena del Pleca. Sporgendoci dallo sbocco di una galleria scavata nel sasso, contemplavamo ad oriente i dorsi di Luznica. Nell’aria tersa le vette sembravano così vicine che ci pareva di poter essere uditi, gridando, dai nostri trincerati sul Monte Rosso. Scorgevamo gli uomini sui rovesci della posizione,