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fra le nevi del kozliak 159


sata si mette in moto, con la lentezza di un varo; subito accelera la sua corsa, forma come una fiumana dai bordi in tumulto, scorre fra turbini di nevischio; poi si scompone, precipita, ha l’impeto e la maestà di un torrente in piena; sempre più rapida, si allunga, si allarga, è una cateratta di candori, veemente, pesante, che manda un rumore cupo, vasto, strisciante, sordo e come felpato. Ad un tratto essa si raccoglie, si gonfia e si calma. Arrivata nel fondo oscuro di qualche valloncello, tutta quella violenza si fissa. Fra schianti di alberi divelti che gesticolano ai limiti della valanga, appare una confusione di onde subitamente immobili, una tempesta ferma, marmorea, silenziosa, che qualche volta è una grande tomba.

Gli alpini più esperti, afferrati dalla valanga si salvano gesticolando con furore, muovendo braccia e gambe energicamente alla guisa dei nuotatori in un gorgo. Riescono così a tenersi a galla nella neve in moto, che è fluida, e se non incontrano salti di roccia arrivano in fondo incolumi. Guai a chi è sepolto, sia pure di qualche palmo. Egli è vivo, potrebbe spesso liberarsi con poche bracciate, ma nel travolgimento ha perduto il senso dell’alto e del basso; è disorientato dalla illusione terribile di trovarsi sempre eretto, qualunque posizione abbia assunto il suo corpo nella neve, di avere il cielo sul capo; e sovente, mentre crede confusamente di salire, affonda scavan-