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158 la montagna delle folgori


solidamente il piede sulle orme lasciate da chi precede, istintivamente appoggiati al lato alto del pendìo, pronti ad aggrapparsi, sentendo una minaccia costante e vaga salire dal vuoto.

Non si ode che lo scricchiolìo sottile e regolare delle graffie affibbiate alla scarpa, che penetrano nel gelo con un cigolare sommesso come di sughero tagliato, lo strisciare delle piccozze sulla parete di neve, l’ansimare dei petti. Di tanto in tanto una breve fermata; risuonano colpi di piccozza che tagliano gradini. «Manca molto?» — «No, a momenti siamo fuori!» — Le voci hanno una risonanza strana nel silenzio gelato.

Sono passaggi brevi, ma che hanno fatto forse più vittime del cannone. È qui che il varco s’interrompe ad ogni nevicata e ad ogni tormenta. La neve fresca e polverosa, ammucchiata nei canaloni, scivola sugli spessori compressi e duri delle vecchie nevi, e si scoscende e frana fino ai valloni, livellando, cancellando, travolgendo tutto.


La vera valanga è rara, la valanga classica, il batuffolo che si distacca dai vertici, che raccoglie neve, che fa massa precipitando, per diventare il centro di una mole spaventosa, bianca e rombante. Sul Monte Nero è invece un continuo pattinare di strati, uno slittamento di superfici. Lungo i greti, nelle spaccature, nei canaloni, di tanto in tanto, la neve ammas-