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150 la battaglia fra le nevi

leggeri che ricordavano gli spruzzi maestosi erompenti sul mare percosso dalle grosse granate dell’artiglieria navale. Era un uragano di fuoco, di fumo e di gelo. Il suolo sobbalzava alle esplosioni, e il rombo frusciante e sonoro delle lunghe pinne metalliche che fanno ruotare nell’aria le mine, mantenendone la direzione, empiva lo spazio di strane e possenti voci da organo. Gli uomini bianchi strisciavano.

Arrivati alle trincee nemiche sono balzati in piedi. Alcuni lanciavano granate oltre i parapetti, altri lavoravano a smuovere i «cavalli di Frisia». Li svellevano dagli ancoraggi, li rovesciavano, aprivano dei varchi, a forza di braccia, e il nemico non poteva opporsi, tempestato come era di bombe, inchiodato nei rifugi, rintanato contro la grandine delle schegge. Le trincee attaccate parevano deserte, e la conformazione a saliente della fronte impediva agli austriaci di convergere sul punto minacciato il fuoco delle posizioni laterali.

Lentamente, sparpagliati, affondando nella neve fino alla cintola, avanzavano i plotoni di attacco. La distesa bianca si punteggiava di grigio. Il fuoco terribile delle mine aeree tratteneva, decimava, disperdeva i rincalzi austriaci che salivano per i camminamenti del nord. Alle cinque e mezza l’assalto alla baionetta si è sferrato.

Dopo essersi ammassati a pochi passi dalle