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la vittoria 137


Agli occhi dei capi la situazione non cessava di esser critica; la difesa nemica, paralizzata in parte, non appariva indebolita. Ma il misterioso presentimento della vittoria era penetrato in tutti. Una certezza istintiva e possente. Si respirava il trionfo, era come un ardore nell’aria.

L’accasciamento della stanchezza e del freddo era scomparso: delle energie sovrumane pulsavano nelle vene di quei soldati che da quasi trenta ore si battevano immersi nella neve; una ebbrezza divina li accendeva. I colpiti cadevano senza un lamento. Un ufficiale ferito è scoppiato in una risata, alta, convulsa, feroce, e si è gettato avanti lasciando delle orme vermiglie.

«Mandateci granate a mano!» — gridavano dal costone. Ed ecco schiere di volontari, carichi di esplosivi, ascendere per i camminamenti. Non si combatteva più che a colpi di granata. I lanciatori, fieramente piantati come discoboli, gettavano bombe e bombe con precisione spaventosa nell’angolo della trincea nemica, e intanto l’assalto saliva, adagio adagio, da sporgenza a sporgenza, sulla roccia variegata di candori.

Un soldato del Genio, un telefonista, che era rimasto bloccato presso alla trincea dall’attacco austriaco, nascosto nella neve fra i nemici, liberato dal nostro assalto, si è imbrancato con