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136 la battaglia fra le nevi


della primavera, che colmano le vallate profonde delle loro ampie e immobili onde verdi spumeggianti di fiori.

L’attacco alla sinistra della cresta aveva trovato a ridosso della posizione austriaca un angolo morto. Poteva inerpicarsi al coperto dalle fucilate e dal fuoco delle mitragliatrici. Ma non dal lancio delle bombe a mano. L’assalto, paralizzato sulla fronte, non aveva che quell’angolo di scalata, scoperto per caso. Bisognava fare impeto da lì, adunarvi più forze che fosse possibile. Mentre «Carlino», e le mitragliatrici, e tutta la truppa disposta nella trincea di neve scavata alla vigilia sul massiccio della seconda linea, concentravano contro la posizione nemica un tiro ininterrotto, intenso, violento, serrato, a piccoli gruppi dei nuclei si spostavano dalla fronte verso la sinistra.

Il combattimento e le perdite avevano mescolato le formazioni; fantaccini, bersaglieri, alpini, erano frammisti in piccole unità di fortuna, comandate da pochi ufficiali superstiti, da sergenti, da soldati: comandate sopra tutto dalla disciplina, dalla fede e dall’entusiasmo che erano in ogni uomo. Gli ordini degli ufficiali superiori venivano lanciati direttamente alla truppa, dove gli intermediarii mancavano. Dei colonnelli, col fucile in mano e le giberne alla cintola, conducevano le masse. Ad ogni comando rispondeva un’acclamazione che diceva: Sarà fatto!