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l'attacco austriaco al pal piccolo 129


to, sia pure di sorpresa, non sarebbero mai riusciti. Se fossero venuti adagio adagio, coperti di camici bianchi, sarebbero stati visti al biancore incontaminato della gran coltre gelata, che anche nelle notti più oscure vince le tenebre e pare imbevuta di un riflesso di luna. Le nostre vedette vigilavano, e non hanno scorto nulla. Niente si è mosso sulla neve, avanti a loro. E il nemico era arrivato, le toccava già.

Era passato sotto.

Dalla sua trincea, lavorando per giorni e giorni, aveva aperto delle gallerie nel ghiaccio, si era scavato dei cunicoli di approccio. Un intenso bombardamento di tutte le nostre posizioni, durato tre giorni, dal 19 a mattina alla sera del 21, oltre allo scopo di stancarci e di sconvolgere le nostre opere, aveva avuto probabilmente anche quello di non permetterci di sentire lo stridore dello scavo nello strato di neve.

Le gallerie austriache, passate sotto ai nostri «cavalli di Frisia» erano arrivate a ridosso del parapetto, e affioravano la superfice. Le prime pattuglie di attacco, vestite di bianco, sono sbucate improvvisamente dal suolo, come per magia, e hanno sopraffatto le nostre vedette.

Una breve lotta a corpo a corpo, dei gridi di allarme, pochi colpi di fucile, e la trincea era presa. Ammassati nelle gallerie gli austriaci venivano su a decine. Erano plotoni di volontari di Carinzia.

Barzini. Fra le Alpi, ecc.