Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/111


oslavia 101


riano, battute anche loro, le posizioni di Oslavia erano in certi momenti invisibili; allo spostarsi lento delle nubi esse riapparivano oscure, smorte, come spente nell’ombra densa dei nubi. Per i combattenti, laggiù, il sereno era scomparso; essi vedevano in un cielo grigio il sole velato come nelle giornate di ghibli sulla costa africana.

Verso le cinque si è levato un vento leggero e freddo, ed è scesa la nebbia, per tutto. Era una di quelle nebbie invernali, fitte e improvvise che isolano, chiudono, mettono una parete plumbea avanti agli sguardi, disorientano. Il bombardamento continuava nel caos dei vapori. La nebbia anticipava la notte, scolorava tutto in un funereo lividore crepuscolare. Alle cinque e mezza il tiro dell’artiglieria austriaca si allungò e subito dopo l’assalto nemico arrivò, senza gridi, rapido, inavvertito.

Gli austriaci stessi, lanciati ciecamente nella nebbia, non sapevano forse quando avrebbero incontrato la nostra difesa. S’iniziò la lotta a corpo a corpo senza transazioni. In un minuto fu la mischia su tutte le trincee. Non ci si vedeva a due passi, e l’azione si snodava in infiniti episodi. Fu un frammischiamento fantastico nell’ombra, entro le trincee, nei camminamenti. Era difficile distinguere gli amici dai nemici. «Parla!» — gridavano i nostri soldati prima di sferrare il colpo. Sulla Sella un capitano dei bersaglieri prese per il petto