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mati così nella loro manovra di aggiramento, tentarono di aver ragione della Quota 188 con un nuovo attacco frontale.

Fu questo il combattimento di cui si udì il frastuono a mezzanotte, quando tutto pareva finito. L’attacco arrivò alle trincee; in due punti anche vi penetrò. Ma il nemico fu ricacciato a baionettate, subito dopo. I combattimenti erano durati quattro ore. In quel periodo di stanchezza e di stupore che segue la battaglia nessuno sapeva ancora in modo definitivo i risultati della lotta.

La notte era freddissima; sul terreno che gelava e s’induriva, incipriato di brina, risuonava il passo delle nostre truppe di rincalzo che sfilavano per le retrovie, rischiarate dalla luna al tramonto. Lungo i trinceramenti le pattuglie in esplorazione strisciavano cautamente per ristabilire i contatti, riconoscendo spesso il nemico dal mormorio delle sue voci barbare, dalla intonazione tedesca o slovena di parole ascoltate a qualche passo di distanza.

Per rafforzarsi gli austriaci scavavano trincee, al di qua delle quali trasportavano e gettavano gli avanzi dei nostri «cavalli di Frisia». Si udiva il battere delle zappe sui sassi delle macerie di Oslavia. Ogni tanto lo scoppio di qualche granata italiana faceva far silenzio, come un comando. All’alba, il tiro delle nostre artiglierie ha cominciato a battere con intensità crescente i due brevi settori occupati