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oslavia 91


fucili e delle mitragliatrici i boati delle granate a mano, la cui vampa dava diafanità sanguigne a dense nuvole di fumo. Di tanto in tanto saliva confusamente da laggiù il grido dell’assalto e della mischia. Lontano, nello sfondo vaporoso e oscuro del paesaggio notturno, Gorizia distendeva il punteggiamento dei suoi lumi, una tranquilla costellazione di fanali accesi e di finestre illuminate.

Per due ore continuò il bombardamento, con brevi periodi di languore. Verso mezzanotte la battaglia sembrava cessata. Vi furono venti o trenta minuti di calma. Poi il fuoco riprese. Ebbe un’altra ora di parossismo e si quietò lentamente. Si era intuito seguendo lo strepito, uno spostamento successivo dell’attacco. Il centro di intensità della lotta era passato da destra a sinistra. Ma i telefoni erano interrotti e mancavano notizie immediate e precise. Del resto, nella notte i combattenti stessi non conoscevano quello che avveniva ai loro fianchi. Gli ultimi fonogrammi, annunziato l’attacco, dicevano: «resistiamo». Ma i messaggi erano giunti dai settori meno premuti dal nemico. L’azione, in quella prima fase, era affidata alla iniziativa dei comandanti locali.

Nel buio dovevano essere avvenuti frammischiamenti inevitabili, perdite di contatto, e sospensione della lotta indicava un disorientamento che paralizzava tutti e due gli avversari. Intanto le artiglierie del nemico e le nostre