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verso la grande muraglia 47


contro gl’informi gradini senza riuscire a salirli. Turbinano con velocità spaventosa limando la pietra con i chiodi dei copertoni, facendone sprizzare fughe di scintille. Ettore accelera a intermittenza il motore, che ha ruggiti affannosi e con ansimo impetuoso vomita nubi di gas, dense, bianche, acri. C’immergiamo in quel gas per spingere la macchina con tutte le forze; il soffio rovente dello scappamento ci alita sulle gambe. Non riusciamo, e ci tiriamo in disparte scoraggiati.

L'automobile, che certamente ha un suo amor proprio, voleva trionfare da sola. Ad un tratto le ruote cominciano a mordere, si fermano qualche istante quasi concentrando il loro sforzo, e lentamente salgono, salgono. Superano il primo gradino, il più alto, poi gli altri. La macchina finalmente ascende fra le tavole di marmo, e qui si ferma e si riposa alcuni minuti. Poi intraprende, a passo di formica, il grande viaggio fra tutte quelle lapidi sconnesse, sostando di quando in quando per studiare dei passaggi lunghi un palmo, cercando il modo di non avere mai più di una ruota affondata nei solchi, afferrata dalle commessure. L’automobile oscilla goffamente, lentamente, va giù, va su, qualche volta retrocede di un passo per mutar direzione, ha tutta l’aria d’una enorme testuggine, con la larga corazza che quasi tocca il suolo e le quattro zampe discoste, forti e caute.

La discesa all’altro sbocco è facile, ma piena d’interesse. È la prima volta che vedo un’automobile impegnata in un simile lavoro. Il poderoso apparecchio ideato per le corse folli a velocità inaudite, discende delle scale con la timida attenzione di un bambino. Il mostro adopera tutta la sua forza a trattenersi. Pare che veda il pericolo, che calcoli le altezze; avanza le sue ruote con precauzioni infinite, la posa dolcemente sui gradini inferiori, senza un urto, senza uno sbalzo; e discende da colosso intelligente che sa mettere il potere al servizio della prudenza. Impiega dei minuti a percorrere un metro, finchè non scorge avanti a sè la via libera. Allora, d’un colpo, come in un trasporto di gioia, si lascia andare velocemente; e pare quasi non voglia fermarsi più, mentre noi gli corriamo dietro gridandogli: Basta! Alt! Ehi, alt.