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la partenza 27


benzina, egli avrebbe dato il suo sangue. Il piccolo gruppo francese era rallegrato dall’inalterabile e ingenua bonarietà di Bizac, il meccanico delle De Dion-Bouton, ex-meccanico della marina da guerra, al quale della vita di bordo fra i motori giganti era rimasto un istinto della disciplina e della regolarità, un’indifferenza alla fatica e alla diversità dei climi. Era l’orologio vivente dei compagni, per i quali all’alba cominciava a funzionare da sveglia, inesorabile come il tempo, insensibile alle ingiurie che sfuggono inevitabilmente a chi è sottratto a viva forza alle dolcezze del sonno. Con la spedizione, due giornalisti: Du Taillis, francese, e Longoni, italiano.

Avevo conosciuto Du Taillis, alla Conferenza di Algesiras dove rappresentava il Figaro. Tante volte nella noia di quell’interminabile e inutile convegno diplomatico, l’incontro di Du Taillis rappresentava per me un quarto d’ora di gaiezza. Aveva degli aneddoti pronti su tutti e su tutto, e li sciorinava con uno spirito irresistibile. Era una sorgente di piccole notizie, di potins politici, di episodi diplomatici, che raccontava con un amabile scetticismo. Attraverso la sua parola e la sua penna divenivano interessanti persino le sedute nella famosa “Sala rossa„ e prendeva risalto tutto quello che v’è di ameno, di buffo, di risibile intorno a certi grandi e vuoti congressi internazionali. Ad un certo punto io lasciai la Conferenza per andare a Fez, e con la Conferenza Du Taillis. Ed ecco che un bel mattino ci riconoscemmo in Cina.

Da dietro gli occhiali d’oro la sua faccia sorridente, allargata da una rigogliosa barbetta bionda, mi osservava attentamente. Eravamo nell’atrio d’un albergo fra il va e vieni dei boys cinesi, dei mercanti di curiosità, degli stranieri attirati dalla colazione. Il mio collega era un po’ trasformato in alto dalla presenza di un enorme cappello tropicale, e in basso da quella di due superbi gambali di cuoio. Ma il resto era normale, e non mi lasciò alcun dubbio sulla sua identità. Ci slanciammo a salutarci cordialmente. Ci spiegammo reciprocamente le ragioni della nostra presenza sulla sacra terra dell’Impero Celeste, e sparlammo piacevolmente del Wai-wu-pu.