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parigi 507


Fa salire la pressione nel serbatoio della benzina; gira la manovella della messa in azione; il motore prende vita rumorosamente. Sediamo ai nostri posti. Borghese mette in moto la vettura, e lentamente usciamo sulla via. Tutta Meaux è là.

L’automobile passa a stento fra la gente che acclama. Le finestre sono gremite di signore che gettano sulla nostra macchina fiori a fasci. Un hurrah continuo corre con noi, ci accompagna fino all’uscita del paese, dove prendiamo la testa del corteggio. Le prime a seguirci sono le automobili, dei giornalisti parigini che ci hanno accompagnato da Berlino e che ci staranno vicino fino all’arrivo.

Aumentiamo la velocità. Superiamo in dieci minuti i dieci chilometri che ci separano da Couilly. Passiamo Crécy alle due e tre quarti, e poco dopo attraversiamo Lagny. Alle tre Chelles. Borghese non rallenta più, neppure nei punti in cui la strada si fa meno buona. A che pro risparmiare la macchina? Siamo quasi arrivati!

Parigi è a trenta chilometri.

È a venti.

È a dieci.

Per tutto saluti, applausi, sventolìo di fazzoletti. Borghese sorride; non più col suo abituale enigmatico sorriso di cerimonia, ma con un sorriso spontaneo. Il suo freddo e mirabile controllo su se stesso non è buono a reprimere la contentezza che è in lui, e che si apre la via in quel sorriso.

I villaggi si succedono senza interruzione. Cominciano ad essere veri sobborghi di Parigi. Molta gente che aspetta ci guarda con aria interrogativa, come per chiederci: “Siete voi?„ — non sapendo quale, fra tante, sia la vettura del principe. La maggioranza conclude che non è certo quella avanti a tutte, così disadorna. E sono i nostri compagni di viaggio, i colleghi della seconda vettura, che spesso sono fatti segno alle clamorose dimostrazioni della folla. A Bry una grossa popolana aspetta sulla via con un enorme mazzo di fiori, e, prese bene le sue misure, lo