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490 | capitolo xxii. |
Il cielo s’è oscurato. Attraversiamo alle nove Helmstadt dalle vecchie porte pittoresche; poi Königslutter, di cui ricordo finestre fiorite e muraglie coperte di verdura; poi Braunschweig, grande e rumorosa, dove al nostro giungere scoppia improvviso un violento temporale e si leva un vento furioso che agita gli alberi.
La pioggia ci sferza. Ma avvicinandoci ad Hannover il sole riappare radioso.
Ad una voltata della strada troviamo delle automobili: siamo accolti festosamente. Dei membri dell’Automobile Club con molti connazionali sono venuti ad incontrarci. A mezzogiorno entriamo ad Hannover. Alle due ripartiamo, mentre si rinnovano i saluti, dopo una squisita colazione offertaci non sappiamo precisamente dove, nè da chi, ma egualmente gradita.
Incontriamo per via una squadra di ragazzi diretti alla scuola, con i libri sotto il braccio, ben disciplinati, ordinati, gravi sotto ai loro berrettini verdi. Ci riconoscono: evidentemente hanno letto i giornali berlinesi. In ogni paese i ragazzi sono i più assidui nostri ammiratori. Improvvisano una dimostrazione, abbandonando per un momento la loro gravità. Il nostro viaggio nelle fantasie giovanili deve apparire immensamente più grande.
Ci dirigiamo a Minden, intorno alla quale giriamo appena attraversato il ponte sul Weser: della città non vediamo che i giardini e i tetti acuminati, dietro agli alberi. Passiamo cittadine, borghi, villaggi dei quali non guardiamo neppure il nome sulla carta, tanto è rapida la nostra traversata. E poi questa incognita aggiunge un incanto misterioso alle cose che vediamo.
In certe piccole città scendiamo per straducce nelle quali alte e vecchie case dalla fronte a triangolo sporgono avancorpi, protendono balaustrate e finestre, come in cerca di luce: abitazioni medioevali che portano scolpito sul legno della facciata date remote di tre o quattro secoli, antichi proverbi, figure di cavalieri — i quali hanno l’aria di guardare con molto stupore l’automobile che passa turbando la loro lunga quiete.