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lasciando la russia 479


Siamo in Germania.

Due gendarmi tedeschi, con l’elmo a chiodo, portano la mano alla visiera. In questo momento si approssima, frammisto al suono festoso di cornette, un rombo di motori: tre automobili compaiono veloci sulla strada tedesca.

In un istante ci sono vicine, si fermano, e da esse scaturisce il primo saluto teutonico: un triplice hoch! lanciato all’unisono da dieci voci, mentre dieci berretti si agitano in aria. Sono membri dell’Automobile Club Imperiale, della sezione di Königsberg, venutici incontro. Rispondiamo commossi. Da questo momento entriamo sotto una specie d’alto protettorato del Club Imperiale, protezione che ci accompagna da città a città, e ci offre l’ineffabile conforto d’una amichevole, cordiale accoglienza.

Anche a Wirballen le operazioni di dogana sono rapidamente terminate: un numero viene applicato all’automobile, e Borghese riceve un regolare permesso di libera circolazione sul suolo tedesco, accompagnato da una legale patente da chauffeur, rilasciatagli senza esame. Alle sette partiamo tutti per Königsberg, lontana 150 chilometri.

La strada è semplicemente meravigliosa, fiancheggiata da alberi sotto le cui ombre voliamo. Il sole, un po’ pallido ancora, filtrando fra i rami, risveglia un tremolìo di bagliori sulle nostre macchine. Attraversiamo Stallupönen, dalle vaste caserme rosse piene di elmetti dai chiodi scintillanti; poi Gumbinnen, Insterburg, Wehlau, tutte cittadine che intravvediamo appena nella fuga, linde, ordinate, con un’aria di fresco e di nuovo, come se fossero costruite adesso.

Infine Königsberg, ove giungiamo alle dieci, elegante, pittoresca, con le sue vecchie case dalla facciata a triangolo, con i suoi tetti scoscesi — sulla cui sommità l’amica cicogna medita immobile — con le sue cuspidi aguzze, e le fortificazioni antiche munite di ponti levatoi che non si sollevano più. Tutto passa vertiginosamente davanti a noi, in una confusione incantevole.

Siamo trattenuti a colazione in un albergo che non sapremmo