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476 | capitolo xxi. |
I colleghi ci raccontano subito l’“avventura della bandiera„.
È proibito portare bandiere senza permesso della polizia, e i gendarmi avevano fermato l’automobile domandando di vedere l’autorizzazione a portare quello stendardo bianco.
— Ma non è una bandiera! — avevano risposto i giornalisti polacchi.
— E che cosa è?
— È una "ditta„ di bottega. Sono proibite la “ditte„?
— Ma pare una bandiera.
— Pare, perchè è una ditta di stoffa invece di essere di legno o di latta.
— Che significano quelle parole?
— Leggetela.
— È polacco, non lo comprendiamo.
— Ci dispiace molto. In Polonia si parla polacco. Dovreste saperlo, venendo qui.
— Va bene. I vostri nomi. Sarete chiamati a render conto alla polizia delle vostre offese.
La bandiera portava semplicemente queste parole: “Società automobilistica di Varsavia„.
Mentre ci dirigevamo all’albergo, un ufficiale ci raggiunse, tutto trafelato:
— Kniatz Borghese! — gridò — Venite, vi prego, la signora Governatoressa vi aspetta alla Fiera di carità della Croce Rossa.
In un giardino v’era una fiera di carità, sotto il patronato della governatoressa, e quella gentile signora aveva pensato di rendere più proficua la festa della beneficenza esponendo noi e l’automobile al modesto prezzo d’ingresso di dieci copeki. L’idea era geniale, ma noi rifiutammo cortesemente, e ci ritirammo all’albergo.
Avevamo percorso 820 chilometri da Pietroburgo. Eravamo a qualche ora dalla frontiera tedesca. In poco tempo tutto si era trasformato rapidamente intorno a noi: razze, costumi e linguaggi. Abituati da più di un mese alle sterminate eguaglianze dell’Im-