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da parigi a pechino 11


Questo nemico si chiamava Chi-cho, ossia “Carro a combustibile„, grazioso neologismo creato per l’occasione ad indicare l’automobile. Non si parlava che di Chi-cho, come una volta s’era parlato dell’Huo-cho — cioè il “Carro a fuoco„ (in europeo: Ferrovia). Perchè vengono i chi-cho? Cosa vogliono? Domande angosciose che mantenevano il Wai-wu-pu meditabondo sulle sorti della Cina.

Nella mente di un mandarino cinese non poteva penetrare l’idea che i chi-cho volessero soltanto andare da Pechino a Parigi senza nemmeno ricevere un premio di questa loro fatica. Per andare a Parigi esistevano dei mezzi più rapidi, sicuri, provati. V’erano certo delle misteriose ragioni, e inconfessabili, per una simile stranezza. Il Wai-wu-pu non dubitava che l’Europa tentasse un esperimento. Quale?

Il principe Ching, uomo dalle larghe vedute, propendeva a credere che gli europei volessero studiare il modo di comunicare rapidamente con la Cina per mezzo di treni automobili, senza aver più bisogno di chiederle concessioni ferroviarie. I pretesi automobilisti, si capisce, erano tutti ingegneri, posti sotto al comando d’un principe italiano. Il progetto rappresentava la completa rovina della compagnia ferroviaria cinese che costruiva la linea di Kalgan, linea giunta già fino a Nan-Kow. E nella compagnia il principe Ching aveva dei capitali.... Na-Tung vedeva le cose sotto un aspetto più terribile. I chi-cho, per lui, cercavano la strada delle invasioni. La Mongolia non era stata nel passato la via del pericolo? La Grande Muraglia non era sorta da quel lato per la difesa dell’Impero? Quale muraglia avrebbe ora potuto chiudere il passo ad un esercito in chi-cho, che scenderebbe subito al primo pretesto d’un moto boxer, e che arriverebbe questa volta in tempo a tagliare, ahimè!, le teste designate dal corpo diplomatico? Gli automobilisti della Pechino-Parigi non erano, si capisce, che degli ufficiali, posti sotto al comando d’un principe italiano.

Una prova della gravità della situazione era data al Wai-