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dal kama al volga | 435 |
pioggia, vedemmo scintillare una striscia d’acqua: il Volga. E nella bruma luminosa si erse il profilo d’una grande città. Finalmente Kazan con i campanili e le cupole delle sue chiese, con i minareti delle sue tredici moschee!
Entrammo per ampie strade piene di movimento e di rumore, fra il viavai delle iswoshchik e il fuggire rombante dei trams elettrici, osservati curiosamente, riconosciuti da molti, salutati qualche volta.
Una signora fece voltare la sua sontuosa carrozza per inseguirci e vederci meglio; ci raggiunse. Era una signora con gli occhiali d’oro, il cappello da uomo, e che fumava una sigaretta. Ci chiese:
— Venite da Pechino?
— Si, signora.
— Oh! — e ci osservò con profondo stupore mentre correvamo di conserva — Ed ora dove andate?
— All’albergo, signora.
— Quale?
— Hôtel d’Europe.
— Conoscete la strada? Volete che vi conduca?
— Volentieri, grazie!
La carrozza si mise davanti, e noi la seguimmo. Passammo vicino a delle chiese, a dei giardini, arrivammo alla via principale. Delle persone ci corsero incontro, con le mani tese, affannate, sorridenti. Erano italiani:
— Ben arrivati! — gridavano.
— Evviva!
— Cari!
In fondo alla strada intravvedemmo il Kremlino e la grandiosa torre Spaskaja che pare una vecchia minaccia di fronte alla città moderna.