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dal kama al volga 417


Questa volta decidemmo di fermarci e di lasciarlo passare. Ebbene, l’automobile ferma non appare ai cavalli meno spaventosa dell’automobile in moto. Avvicinandosi cominciarono a rizzare le orecchia, a squassare la testa, a sfrogiare, a nitrire, e improvvisamente il primo cavallo si sollevò sulle zampe posteriori, e fece un voltafaccia, dimenticandosi d’essere attaccato; la telega, sterzando di colpo, si rovesciò. La seconda fece lo stesso, e sùbito dopo la terza, e le altre. Latte e uova in terra, e bastoni in aria. E automobile in fuga.

Da quel momento cambiammo tattica, e con fortuna. Passando vicino ai carri, andammo a tutta velocità; e non avvenne più alcuno spargimento di latte. I cavalli avevano appena il tempo di accorgersi del passaggio del mostro, che il mostro era sparito; ed essi continuavano la via completamente rassicurati. Tutto si riduceva ad un leggero moto di spavento delle teste: era un istante. Applicavamo in fondo la tattica adottata sui ponti di dubbia resistenza; i cavalli non avevano il tempo d’impennarsi, come i ponti non avevano il tempo di rompersi. Il momento critico era ridotto ad un attimo. E i contadini ci salutavano con entusiasmo, sorridenti e sorpresi allo spettacolo di quella corsa vertiginosa.

Qualche ora dopo entravamo in grandi foreste di abeti, mentre si scatenava uno dei più violenti temporali. Un vento impetuoso s’abbatteva sugli alberi, li curvava tutti ululando, sibilando; e il cielo buio pareva che sfiorasse le loro cime acute, nere ed agitate. Filtrava una luce crepuscolare, come fosse tornata la notte, spezzata dal bagliore violastro dei lampi che ci abbacinava.

Rombava continuo il tuono. La pioggia torrenziale scrosciava per tutto come una gran cateratta, e inondava ogni cosa, allagava la strada, riempiva i sedili della vettura, ci penetrava sotto alle impermeabili, batteva sui nostri visi con una violenza che faceva male, che dava un vero dolore quasi che l’acqua fosse stata solida tanto le gocce erano grosse e il vento forte. Dovevamo andare lentamente, il terreno non si vedeva più, era coperto d’ac-