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408 capitolo xviii.


mongoli, ai buriati, agli slavi, ai kirghisi, passando dal buddhismo alterato da Confucio al buddhismo dei Lama, al cristianesimo feticista della Transbaikalia, all’ortodossia della Siberia occidentale, all’islamismo, avevamo sentito sfumature di razza e di coscienza, parentele di sangue e di carattere, affinità di linguaggio e di opinioni, e senza capirlo avevamo intuito un lento movimento di stirpi, un incalcolabile andare e venire di emigrazioni, un fluire di popoli, nell’immobilità apparente, dalle stesse origini, dallo stesso cuore dell’Asia, e un loro ritorno trasformati; avevamo avuto la visione vaga d’un moto che sorpassa i confini della memoria storica. L’Asia, l’Asia che tace, l’Asia che dorme, la vecchia Asia che sembra quasi un continente spento, ci era parsa invece piena d’una attività troppo vasta per essere percepita. Quella gran madre di popoli, dalla quale la nostra stessa razza è uscita, ci si era rivelata ancora giovane, circondante di silenzio e di quiete una sua nuova fecondità. Ecco perchè avevamo pensato con una specie di riverenza al momento in cui avremmo varcato il suo confine.

E poiché quel passaggio era per noi anche un ritorno, avevamo deciso di fermarci e di brindare sulla poetica soglia del nostro continente. Nella cassetta degli attrezzi era riposta, per una previsione encomiabile, della quale mi vanto, una buona bottiglia di champagne destinata a questo scopo. Ma quando giungemmo lì, non so dire perchè, tacemmo, e per un accordo inespresso continuammo a correre, chiuso ognuno di noi nei suoi pensieri, non scevri da una certa emozione. In quell’istante la cerimonia ideata ci parve meschina, fermarci a bere in quel luogo era una specie di profanazione. Nulla valeva la solennità di quel nostro raccoglimento.

L’automobile scivolava rapida per i dolci declivi di quelle pigre e molli collinette che usurpano il nome di monti. Gli Urali sembrano alti ed imponenti soltanto agli uomini della steppa: sono montagne perchè sorgono fra la pianura siberiana e la pianura russa. Noi, abituati alle imponenti linee degli Appennini e