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gli urali 399


losamente ai nostri occhi: sorgevano folti boschi di pini, frutteti, e poi un parco ombroso sulle rive d’un fiumicello calmo e limpido, e fra gli alberi tetti di hangars, di palazzine, di scuderie, e un opificio che prendeva dal fiume la sua forza.

La colazione fu servita all’aperto, sotto alla frescura delle piante, con la larga e semplice ospitalità di altri tempi. E ci pareva di vivere in altri tempi, in qualche colonia dimenticata dal mondo, o che avesse dimenticato il mondo. Le toilettes delle signore erano di quarantanni fa; una venerabile dama mia vicina, con i capelli grigi a boccole, mi parlava fluentemente in un francese letterario che non è più vivo; il fratello del nostro ospite, un gigante, vestiva l’antico costume siberiano, con la camiciola di seta coperta di ricami e la cintura coperta d’argento. Vedevamo nella padrona di casa un tipo di forte eroina da vecchio romanzo, che amava vestirsi da cosacco, armarsi di fucile e di yatagan, montare a cavallo come un uomo, e galoppare via per la foresta cacciando. I suoi figliuoli indossavano tutti il costume nazionale, come dei piccoli mujik. I servi erano numerosissimi, e venivano, donne ed uomini, a curiosare con familiarità rispettosa. Mangiavamo sotto gli sguardi di una folla pittoresca, multicolore, scalza. Una vecchia salutò il padrone genuflettendosi e toccando con la fronte la terra. Delle giovani fantesche bionde portavano senza interruzione cibi e bevande.

Il convito sarebbe continuato chi sa fino a quando, se dopo tre ore non ci fossimo ricordati di dover pernottare alla sera a Tjumen, lontana 340 chilometri da Ischim. Dovemmo resistere a tutte le preghiere, insistere, ribellarci cortesemente, per non rimanere lì, ospiti perenni. Cominciavamo, avvicinandoci all’Europa, a penetrare in regioni dove ci aspettavano quei piacevoli ostacoli che si chiamano inviti. Il Principe doveva dimostrare più ferma decisione per andare avanti in mezzo all’ospitalità, di quanto non ne avesse avuto bisogno fra le paludi e fra le roccie. Anche il giorno prima, a cento verste da Omsk, eravamo stati fermati da una colazione, che ebbe il merito della rapidità.