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sulla steppa 383


— Degli stracci! Dove sono gli stracci?

— I vestiti!

Ed Ettore gettò sulla fiammata l’impermeabile, Borghese una pelliccia. Il grasso incendiato si spense, ma la carrozzeria ardeva ancora. Togliemmo le tavole del piano, le spegnemmo con la terra, ne raschiammo i pezzi accesi con i coltelli facendone cadere a faville tutta la superfice imbragiata. Finalmente le vampe erano domate; con degli stracci, inumiditi nella poca acqua che gocciolava dal radiatore, soffocammo i resti dell’incendio. Spiammo ogni scaturigine di fumo, e rimanemmo lì a vigilare finchè non ci sentimmo sicuri che il pericolo era scomparso. Allora demmo un gran sospiro di soddisfazione, e ci guardammo sorridendo, un po’ trasognati.

— E anche questa volta è andata bene! — esclamavamo.

— Aver portato la macchina fin qui per vederla finire in un fuoco d’artifizio in mezzo alla steppa!

— Fortuna che ce ne siamo accorti in tempo!

— Se scoppiava la benzina andavamo in aria tutti e tre!

— In macchina! In macchina, che si fa tardi! — osservò il Principe.

— A Omsk! A Omsk!

Ettore aveva già aperto completamente il freno guasto rinunziando a servirsene per l’avvenire. Rimaneva ancora il freno a mano, non così pronto come quello a pedale, ma certo egualmente efficace. E riprendemmo il viaggio.

Presso al villaggio di Jurjewo trovammo un piccolo fiume da passare. I contadini temettero forse che l’automobile rovinasse il battello, poichè non volevano a nessun costo lasciarci traghettare. “La barca — dicevano — è per gli uomini, per i cavalli e per le teleghe. Questo non è un cavallo, non è una telega, dunque non può passare„. Tutta la eloquenza di Borghese non poteva convincerli. E allora? Allora comparve alla luce la lettera del Ministro. Un quarto d’ora dopo eravamo all’altra parte del fiume. A poca distanza da Omsk riattraversammo l’Om. Una