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sulla steppa 379


— Chi siete?

Declinai nome e qualità.

— Tornate domani.

— Non posso. Parto all’alba, ed ho un telegramma da spedire.

— Andate via!

— Apritemi, vi mostrerò i miei documenti. Non spedite telegrammi?

— Sì. Ma non vi conosco.

Era dunque un ufficio per gli amici soltanto.

— Debbo telegrafare al governatore di Tomsk.

— Andate via!

La voce s’era fatta minacciosa. Insistei. L’uomo dietro la porta gridò qualche cosa che non compresi, ma che comprese il giovanotto mia guida il quale fuggì precipitosamente facendomi cenno di seguirlo. Gli chiesi:

— Che succede?

Egli rispose, sempre allontanandosi, col gesto di chi spara un fucile ed emise questi eloquenti monosillabi:

— Bum! bum!

Il mio giornale sarebbe dovuto rimanere per quella sera senza notizie della nostra corsa. “Già — pensai fra me — meglio senza notizie che senza corrispondente!„ e tornai all’albergo.


Attraversammo l’Om a Kainsk, poco fuori del paese, sopra un curioso ponte di legno che s’era abbassato, forse per delle alluvioni, fino ad essere quasi tutto sott’acqua. Lo chiamammo il ponte-guado. Erano le quattro del mattino del 4 Luglio. Riprendemmo la veloce corsa per l’immensa pianura che non avremmo più lasciato fino all’Europa: non ci aspettavano ormai altre alture che gli Urali.

Alla partenza il tempo era minaccioso. Dopo due ore pioveva a dirotto. La strada divenne improvvisamente quasi impra-