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nel governatorato d’irkutsk. | 327 |
altrove, ma il corpo trasaliva e si metteva in guardia. E sui ponti, specialmente sui grandi ponti — quelli alti, scavalcanti burroni profondi, fiumi rapidi, precipizi — provavamo una curiosa soddisfazione, un piacere negativo, per dir così, che non mancavamo mai di constatare con qualche osservazione quasi involontaria: il piacere di non precipitare. Ci dicevamo:
— Se si sfasciasse questo ponte!
— Non la racconteremmo più.
— Ci troverebbero a pezzi.
E sembravamo tutti contenti di non essere laggiù, nel fondo che vedevamo sporgendoci a guardare al di sopra del parapetto per una invincibile attrazione, contenti soprattutto di non esservi a pezzi.
Verso le due e mezza del pomeriggio del 4 Luglio arrivavamo a Nischne-Udinsk, a circa 500 chilometri da Irkutsk. Fummo ricevuti dalla Polizia che ci aveva preparato un alloggio nel suo stesso ufficio. È inutile, certi onori non toccano che ai grandi uomini e ai delinquenti. Un gendarme ci fece il thè, un gendarme ci preparò i letti, un gendarme ci cucinò il pranzo. Era la forza addomesticata. Pensate, comandare un menu ad un gorodovoi sull’attenti! Lo straordinario è che il pranzo riuscì eccellente.
Mentre il Principe riceveva il comandante della Polizia e gli ufficiali, mentre Ettore, che aveva trovato pronto il deposito di combustibile e di lubrificante, nettava e nutriva la macchina, io sostenevo una lotta epica con l’ufficio telegrafico di Nischne-Udinsk, per riuscire a trasmettere il mio resoconto. Dopo i telegrafisti fumatori d’oppio di Hsin-wa-fu, non avevo più trovato un ufficio più singolare. Alla presentazione del dispaccio l’impiegato mi chiese:
— Che lingua è questa?
— Italiano — risposi.
— Non trasmettiamo l’italiano.
— Dovete trasmetterlo in forza delle convenzioni internazionali.