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nel governatorato d’irkutsk. 319


la neve interrompono ogni lavoro e bloccano gli abitanti nelle loro case. Il mujik pone una cura costante all’abbellimento della sua abitazione; distende rozzi tappeti sul pavimento, riempie le pareti di vivaci immagini, d’iconi, di ritratti imperiali, dispone tutto con ordine; il samovar lucido è posto sopra un tavolo vicino ad una finestra perchè sia veduto dalla strada; intorno al samovar i bicchieri e i piattini; sopra un mobile d’onore tutte le cose preziose della famiglia, tazze di porcellana, piatti dipinti che servirono alle nozze, una lampada votiva sempre accesa: alle finestre cortine di percalle. Vi è in quelle case un senso d’intimità raccolta e contenta, che non esiste in paesi ove nella casa non si vive molto perchè il sole è caldo anche nell’inverno, l’aria è dolce, e si sta bene all’aperto.

Siamo arrivati sulla riva destra d’un fiume, il Suchuja. È un fiume doppio, diviso da una lista di terra nel mezzo: una metà si passa a guado, l’altra metà in battello. Molti fiumi siberiani hanno così una parte profonda e una parte bassa; sono insidiosi da un lato e benigni dall’altro. Alcuni di questi hanno un ponte per traversare la zona migliore e una barca per traversare il resto, nel quale si adunano tutte le furie e tutti i pericoli della corrente. Un ponte intero non resisterebbe alle piene. Un grande battello ci ha tragittato. Non è stato facile portarvi l’automobile; abbiamo dovuto rinforzare la passerella sulla quale Ettore ha spinto la macchina velocemente con la sicurezza e l’esattezza dimostrata già sulla Selenga. Poi abbiamo finito col far pratica di questi imbarchi. Traversammo su battelli, qualcuno vecchio e sbilenco, una quantità d’altri fiumi, grandi e piccoli, l’Ospin, il Bjelaja, il Salarin, l’Oka, portanti le loro acque ad ingrossare l’Angara nel suo cammino verso il Jenissei.

Sui barconi, insieme all’automobile, tragittavano teleghe provenienti dai mercati vicini, e ci trovavamo in mezzo alla caratteristica folla dei campagnoli siberiani, che ci salutavano rispettosamente e scambiavano fra loro strane osservazioni. Fu sopra uno di quei battelli che ci sentimmo domandare se eravamo giap-