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314 capitolo xiv.


sulle fronde. E, come nei romanzi, il signor Radionoff scendendo esclamò:

— È qui.

— Dove siamo?

— In casa mia, cioè in casa vostra. Il bagno è pronto. Le vostre camere sono in ordine. Il pranzo sta cuocendosi.

Ricevemmo in quella casa bianca un’accoglienza sontuosa e cordiale, l’ospitalità piena e franca di chi offre tutto quello che può e l’offre volentieri. A mezzanotte arrivarono degli amici per quel pranzo che stava cuocendosi. L’ora potrà sembrare poco adatta a chi non conosce l’estate russa, implacabile stagione di luce nella quale alle undici di sera non è ancora notte e alle due del mattino è già giorno. Vennero degli ufficiali, dei commercianti, dei funzionari. E ci trovammo fra loro come se ci fossimo conosciuti sempre. Vi è qualche cosa nel carattere slavo che lo fa somigliare al carattere latino: l’affabilità espansiva e la confidenza generosa.

A Irkutsk trascorremmo un incantevole periodo di riposo. Veramente la parola “riposo„ è esagerata; ma riposarsi spesso soltanto vuol dire cambiar lavoro. Correvamo Irkutsk in lungo e largo, per le grandi strade dall’acciottolato gibboso, fiancheggiate da palazzoni malinconici e presuntuosi, per le immense piazze impaludate dal fango, per i quartieri dei mercati, tutti di legno come enormi baraccamenti d’una fiera perpetua; andavamo da una banca a un magazzino, da un magazzino al telegrafo, dal telegrafo ad un ufficio governativo; avevamo informazioni da chiedere, conti da regolare, cento cose da acquistare per rifornire il nostro guardaroba che l’olio della macchina aveva rovinato. Guardavamo con curiosità il movimento di quella città che si dà l’aria d’una capitale, e che lo è un poco. Essa governa un paese grande venti volte la Francia; domina popolazioni di tutte le razze; per le sue vie, nella folla slava s’incontrano buriati che vengono dalla Transbaikalia, kirghisi che vengono dalle steppe, tungusi scesi dalle tundre, e circassi, e tartari, e armeni, e ebrei. È una città occi-