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312 capitolo xiv.


ma fummo fermati da un incidente poco piacevole. Durante una discesa, Ettore osservò:

— Sento che la macchina fatica.

— Possibile! — esclamò il Principe — La strada scende e dovremmo andare senza motore.

— Credo che il freno si sia stretto.

— Ferma! Guardiamo.

Altro che stretto! Ci trovammo circondati da una nube di fumo e da una puzza d’olio cotto. Il grasso del freno bruciava e le fiamme investivano il macchinario dei cambi di velocità. Dovevamo forse l’inconveniente a qualche guasto prodotto dalla caduta. Il freno a pedale — che con un sistema analogo al Westinghouse funziona potentemente sul cardàno — non ubbidiva più bene, rimaneva serrato, e per l’attrito sviluppava tanto calore da incendiare le materie lubrificanti. Per fortuna v’era acqua nei fossati e anche nelle pozze della strada, e potemmo spegnere subito il fuoco. Allentato il freno, partimmo. Pioveva sempre, e, come sulla strada di Missowaja, ci andavamo ricoprendo di fango. Il giorno declinava lentamente. Alle nove v’era nel cielo quello strano chiarore delle sere boreali, che sembrano senza fine, crepuscoli lunghi e tristi, vere agonie del giorno. Un’ora dopo potevamo ancora scorgere la strada che si stendeva fra grandi ombre d’alberi. Sopra una ripida salita l’automobile si fermò. Eravamo a sei verste da Irkutsk della quale vedevamo lontano dei lumi, un punteggiamento indistinto nella notte.

Una fangaia profonda ci tratteneva. Tornammo indietro, provammo in più modi a superare quel passo, sforzammo il motore, cercammo di camminare a zig-zag, ma inutilmente. La vettura scivolava, come in quella salita incontrata vicino a Verkhne-Udinsk. Da mezz’ora ci accanivamo in quel lavoro, quando intravvedemmo delle vetture che camminavano sopra l’alta banchina fiancheggiante la strada. Vedevamo le teste dei cavalli e i dunga profilarsi nel cielo. Erano molte vetture, che si fermarono. Fra lo strepito del motore udimmo delle voci chiamare; chiamavano per nome: