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306 capitolo xiii.


quelle del Caucaso, poi in quella del Turkestan, poi in Siberia, in Manciuria, nella Cina centrale. A proposito, sapete nulla su quella dell’Amur?

— E non tornate in Italia?

— Certo, diamine!

— Lavoriamo per questo!

— Non ci mancherebbe altro, rimanere in Siberia!

— A farci gelare il naso.

Ci attardammo con quella moderna compagnia di franchi muratori, che gira il mondo costruendo ferrovie come sei secoli fa le sue consorelle giravano l’Europa costruendo cattedrali. Poi c’incamminammo verso il teatro per dormire.

Dormire al teatro è un’abitudine abbastanza diffusa, ma durante lo spettacolo. Per noi era un’altra cosa. Il piccolo teatro di legno di Tankoy si trovava in un periodo di riposo, e la polizia, mancando un albergo, aveva fatto mettere tre letti sul palcoscenico, destinandoli al nostro sonno. Il teatro era illuminato ad elettricità, tutto addobbato per una prossima recita di ferrovieri dilettanti. Il telone era sollevato, le batterie della ribalta c’inondavano di luce (impazzimmo poi per un’ora a cercare l’interruttore) e in mezzo a tutto quello splendore, noi tre che ci spogliavamo e ci coricavamo, sospirando e gemendo per le nostre ammaccature che doloravano ad ogni gesto, pareva che recitassimo qualche scena da pochade.

Fuori passavano e ripassavano sentinelle armate di fucile. Tankoy vigilava, come se aspettasse per quella notte un assalto di “quei di Sakhalin„.