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un ponte che crolla 299


Tutta quella buona gente sembrava contenta quanto noi del salvataggio, un po’ per amor proprio, e un po’ perchè ci si affeziona sempre alle cose che ci costano fatica. S’interessava vivamente alle condizioni dell’automobile. Voleva sapere se poteva camminare, se “era viva„ ancora — come diceva con pittoresca espressione. Noi eravamo ansiosi; ci struggevamo di conoscere. L’apparenza non ci aveva ingannati? La macchina era realmente illesa? Volevamo sentire subito la sua voce. Ettore dispose sul volante i tasti della carburazione e dell’accensione in “posizione di marcia„ e afferrò la manovella.

Non si udiva una voce. Pareva vi fosse intorno l’aspettativa d’una sentenza. La manovella girò una, due, tre volte. La macchina rimase muta. Ettore, tentò ancora, inutilmente, a più riprese. Vi mise tutta la forza, vi mise dell’ira. Il motore restò inerte. Ettore esclamò:

— Forse dell’olio è entrato nei cilindri, l’accensione non funziona. Vediamo!

Aprì il cofano, smontò le chiusure dei cilindri, le asciugò con lo straccio, asciugò i “martelletti„ perchè l’olio, isolatore, non interrompesse la corrente elettrica, rimise ogni cosa al posto, strinse le viti, tornò alla manovella.

Al secondo giro la macchina ruggì. Il suo rombo consueto scoppiò improvviso, alto, trionfante, facendola fremere tutta come per una poderosa impazienza. Era la risposta dell’interrogazione muta che stava in ogni pensiero. L’automobile aveva parlato. Hurrah! — gridarono i siberiani agitando i berretti.

I preparativi della partenza furono lunghi. Per rimettere la macchina in ordine Ettore ebbe bisogno di due ore. Volle esaminare minuziosamente. Intanto il capostazione offrì al Principe e a me ospitalità nella sua casa — ove mi condusse passo a passo fraternamente sorreggendomi, a ragione di quelle benedette gambe disobbedienti. Ci diede del thè, del latte, dello shi fumante — la ricca zuppa nazionale — ci offrì dei letti. Alle due l’automobile era pronta.