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un ponte che crolla 293


campo d’osservazione si restringeva alla immediata vicinanza dei nostri individui; ognuno di noi aveva la sua avventura, la sua lotta, il suo corpo a corpo col pericolo. Dopo ci raccontammo. Io conservo più vivido il ricordo della sensazione che della visione. Mi torna con maggior evidenza alla memoria quel che era dentro di me di quel che era intorno a me. Stavo a cavalcioni del bagaglio; la mia caduta fu la più lunga. Udendo il primo schianto credetti soltanto ad un avvallamento parziale dell’automobile, Nella strada che traversa la Taiga ad un incastrarsi delle ruote nel vano di qualche tavola spezzata, e pensando ad una panna tediosa e faticosa, esclamai:

— Ci siamo!

Un istante dopo mi trovavo sotto al ponte, in una penombra repentina e sinistra, aggrappato alle corde del bagaglio. L’automobile scendeva sempre, fracassando legname. Avevo l’impressione di non arrivare mai in fondo. Mi lasciavo trascinare, curvo sotto ad un tempestare di tavole che mi si abbattevano addosso, che mi premevano alle spalle, che si frangevano con rumorìo crescente, continuo, crepitante. Ricordo d’aver constatato, non senza