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un ponte che crolla 287


— Io non mi oppongo. Non so niente. Non assumo responsabilità.

Il gendarme dichiarò:

— Vi accompagnerò io, e passerete per tutto.

Dal che ricevemmo la più convincente conferma della onnipotenza del gendarme in Siberia.

Per dare un posto nell’automobile al bravo milite, io mi arrampicai sull’alto bagaglio, nella parte posteriore della carrozzeria, dove m’insediai a cavallo, un po’ disturbato dalla presenza delle lunghe tavole, ma soddisfatto della elevata posizione che mi lasciava scorgere le cose da un punto di vista assolutamente nuovo. Il gendarme sedè nel posto del predellino.

Al fine di evitare gli scambi e i meccanismi dei segnali che ingombravano la linea in vicinanza della stazione, andammo a cercare più oltre, una versta lontano, un passaggio fra la vecchia strada e la ferrovia. La banchina ferroviaria era alta un paio di metri, ed il passaggio consisteva in una piccola scalinata ad uso d’un cantoniere vicino, poco adatta all’ascensione d’un’automobile. Ma non era quella una difficoltà da impressionarci. Con l’aiuto di vecchie traverse, che accatastammo sapientemente, e delle due tavole, costruimmo una passerella, che la macchina varcò trionfalmente di slancio. Eravamo finalmente sulla linea. Con le ruote di sinistra l’automobile scavalcò la rotaia di destra, noi ricaricammo in fretta le tavole, le legammo ben bene, e riprendemmo i nostri posti. Mi issai di nuovo sulla vetta del bagaglio come un arabo sulla gobba del dromedario. Partimmo.

La prima impressione fu deliziosa. Quella superba via, eguale, livellata, nitida, dopo i salti, gli sterpi, le boscaglie, i fossi della ex-strada maestra, era piena di seduzione. Stretta, ed alta sulla campagna, dava l’idea d’una snellezza sospesa, come d’un immenso ponte a nastro. Tutto ciò era nuovo, e forse per questo solo ci piaceva tanto. Procedevamo lentamente; le traverse, per quanto vicinissime l’una all’altra, e coperte da uno strato di sabbia, imprimevano all’automobile un’ondulazione, una specie di mo-