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282 capitolo xii.


Alla sera del 28 un mercante ebreo si fece presentare a noi. Portava la lunga palandrana nera degli ebrei russi; salutò con ossequio e ci disse:

— Voi volete andare a Irkutsk?

— Si.... secondo!

— Avrei da proporvi un ottimo affare. Ho nel porto un vapore. Se volete vi sbarco in sette ore a Listwinitshnoje a metà prezzo della ferrovia.

— Quando parte il vostro vapore?

— Questa sera, se vi piace. Non ha carico da fare, e può ripartire subito. Vi aspetterei, al caso, anche fino a domani sera.

— Non possiamo decidere. Siamo in attesa di una risposta che può tardare....

— Basta, pensateci — e quando fu sulla soglia andandosene, si rivolse ripetendo: — Fino a domani sera. Salute!

Tutto il giorno era trascorso senza che arrivasse alcuna notizia da Irkutsk. Nella notte fummo svegliati da grandi colpi battuti dall’esterno sull’isba. In quelle case non è necessario bussare alla porta per farsi aprire; si prende un sasso e si batte sulle pareti di legno, tutto intorno, finché qualcuno sente. Era uno strepito d’inferno. Lo Starosta, insonnolito, andò alla porta, e tornò insieme ad un fattorino del telegrafo, il quale era munito d’una lanterna, e armato di fucile, di baionetta, di rivoltella. Porgeva un dispaccio.

— Perchè tutte queste armi? — gli chiese Borghese mentre firmava la ricevuta al lume della lanterna.

— Non si può uscire di notte senz’armi — rispose —. La regione è infestata da malviventi che assaltano, ammazzano, derubano da tutte le parti. Sono quelli di Sakhalin.

— Quelli di Sakhalin?

— Sì, i deportati di Sakhalin, che difesero l’isola contro i giapponesi. Furono ritirati, dopo la guerra, sul continente, e nella confusione evasero. Molti vennero liberati per premiarli d’avere combattuto. Si sono dispersi nell’Amur e nella Transbaikalia, hanno