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276 capitolo xii.


vammo lungo la riva un viottolo che scendeva verso la foce. Lo seguimmo, ed arrivammo ad un piccolo gruppo d’isbe. Incontrammo un tagliaboschi seduto sull’erba, tutto intento ad infilarsi un enorme paio di stivali.

— Salute! — ci disse, senza sembrare affatto impressionato dell’arrivo di un’automobile.

— Salute. Dov’è il guado?

— Non c’è guado, piccolo padre. La Mishika è più alta di me.

— Come fai dunque a traversarla?

— Con quella barca.

Guardammo dalla parte che l’uomo c’indicava, e vedemmo, legata ad un cespuglio della riva, una specie di piroga che aveva il fondo pieno d’acqua.

— Non vi sono altre barche?

— Si, ce n’è un’altra, come quella.

— E il bestiame come passa?

— A nuoto. Guardate laggiù, adesso.

In direzione del lago, dove la corrente si calmava, un gruppo di cavalli nuotava verso la riva sinistra, lentamente, deviando un poco.

— Come si potrebbe fare a portare questo carro dall’altra parte del fiume? — chiedemmo al boscaiolo.

Egli rifletté qualche tempo, finendo di calzare i suoi stivali, si alzò e rispose:

— Si può riparare il ponte. Le travi di sostegno sono rimaste o sono ancora buone.

— Vi sono operai qui?

— Tutti siamo capaci a fare ponti. Vi sono uomini e legname in abbondanza.

— Quanto tempo ci vorrebbe?

— Otto giorni almeno, e sei uomini.

Ci ponemmo a discutere il progetto. Rifare un ponte, era seducente. Aspettare otto giorni, era sopportabile. Ma noi avremmo