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270 capitolo xii.


darono, e quando furono vicini ci salutarono gravemente togliendosi i berretti. Erano bei tipi vigorosi dalla faccia mistica; fisionomie da santi biondi su corpi da atleta. Come tutti i mujiks, portavano i capelli lunghi fino al collo; il popolo russo perpetua l’acconciatura degli antichi guerrieri, con i capelli tagliati netti sotto alla nuca come se più lunghi potessero imbarazzare ancora la cervelliera e la lorica.

Trasportarono prima il bagaglio, caricandone le groppe nude dei cavalli; pareva una scena di saccheggio. Intanto Ettore, per non togliere il magnete, vi creava intorno una protezione impermeabile di stracci ricoperti di grasso. I sei cavalli poi furono attaccati all’automobile, con quelle lunghe corde che ci avevano così bene servito in tante occasioni, gli uomini balzarono in groppa alle cavalcature, uno di essi si mise a cavalcioni sul cofano del motore. Ettore prese il volante. La macchina sobbalzando ed oscillando s’immerse nella Bolshaja Rieka, fra gridi, scocchi di nagaika, nitriti, in mezzo ad una corona di spume e di spruzzi, assalita di fianco rabbiosamente dall’acqua con un gorgogliante rimescolio d’onde. All’altra riva rimettemmo rapidamente l’automobile in ordine di marcia. Quel ponte caduto ci aveva fatto perdere tre ore. Volevamo giungere prima di sera a Missowaja, sulla sponda orientale del Baikal, a 160 chilometri da Verkhne-Udinsk. I mujiks c’indicarono la strada. Rientrammo fra i boschi.

Vi è una sola regione in Europa che ricordi quel paesaggio: la Scozia. Le stesse colline silvestri, le stesse piante, un eguale aspetto pittoresco e selvaggio, e nelle lontananze quella bruma nordica che spegne dolcemente i colori in un velo di melanconia. Verso le cinque, dopo tredici ore di viaggio, finalmente, fra le aguzze e nere cime degli abeti vedemmo scintillare l’azzurra distesa del Baikal. Pareva più luminosa del cielo rischiarato.

In quel folgore di serenità potevamo a stento scorgere le montagne della riva opposta, lontane cinquanta chilometri. Al nord e al sud l’orizzonte d’acqua era illuminato. Il lago Baikal i russi lo chiamano “mare„. In verità esso è un lago per la larghezza