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256 capitolo xi.


avevamo fatto che salire al nord-ovest, e l’Europa è a ponente. Tutta la strada percorsa non ci aveva avvicinati che ben poco alla mèta. A Verkhne-Udinsk avremmo finalmente, ad un tratto, voltato la faccia all’occidente. Cominciava da lì la corsa diretta verso quei tramonti che ci mostravano la via del ritorno in un’apoteosi di luce.

La strada si faceva cattiva. Sobbalzavamo in buche profonde e guazzavamo nel fango. Traversavamo delle pozze, che dovevamo sondare prima con i piedi per assicurarci della solidità del fondo. Sapevamo di dover passare ancora la Selenga sopra un battello, e cercavamo la buona direzione per il traghetto fra un intreccio di sentieri solcati da profonde rotaie. La pianura ara acquitrinosa, incolta, invasa da salici nani, da giuncaglie, da tutta la vegetazione delle paludi. Dei fiumicelli la percorrevano serpeggiando, e li passavamo su piccoli ponti di legno che avevano l’apparenza di essere stati fatti provvisoriamente molti anni fa, e poi dimenticati. Eravamo alle prese con tutte queste piccole difficoltà, quando ci giunse alle orecchia un fischio lungo, alto, sonoro, che riconoscemmo subito, e che ci fece volgere il viso illuminato di gioia dalla parte dove esso era venuto.

— Il treno! — esclamammo. — Il treno!

Distinguemmo la linea della ferrovia transiberiana, al di là della Selenga, con le casette rosse dei suoi guardiani, e i pali del telegrafo, tagliata alla base di colline coperte di pini. Fra gli alberi un pennacchio di vapore bianco fuggiva, disperdendosi su per la pineta, inseguito da un rombare alto, continuo, crescente. E il treno comparve, sbuffante, veloce. Il vincitore, il trionfatore, il conquistatore dell’Asia, passava. Correva verso Irkutsk, verso l’Europa. Esso ci univa all’Europa. Non so quale effetto avesse prodotto su noi il viaggio, la lunga sensazione della solitudine e della lontananza, il fatto è che la semplice e comune vista d’un treno ferroviario ci sembrò cosa nuova, piena di significato profondo ed ineffabile, e in un impeto d’entusiamo lo salutammo con un caloroso evviva.