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transbaikalia 249


villaggio è eguale al secondo, il secondo al terzo, il novantesimo al centesimo, e così via all’infinito. Le case sono d’un modello unico, le chiese sono identiche. Tutto è disposto allo stesso modo: una strada ampia, per scongiurare i pericoli della propagazione degl’incendi, e ai suoi fianchi le abitazioni; dietro alle abitazioni le stalle; all’ingresso del villaggio, in mezzo ad un prato, la chiesa. Nulla che faccia distinguere un villaggio dall’altro, fuori del nome. L’automobile travolta dal crollo d’un ponticello della Transbaikalia.
Quel che si vedeva della macchina sul livello della strada.

Ad ogni campanile che si scorge da lontano, la speranza dà l’illusione d’un cambiamento. La chiesa pare più grande di tutte quelle che si sono viste prima, il villaggio più bello, e si desidera arrivarvi presto, pieni di una curiosità ravvivata, spinti da un bisogno di vedere delle cose diverse. Ma il villaggio somiglia ai suoi vicini, ed anche ai suoi lontani, come un soldato somiglia all’altro. Presto l’uniformità produce la monotonia, e la monotonia la melanconia. E si pensa ai bianchi villaggi delle nostre campagne, ognuno dei quali ha una fisionomia sua, una espressione, una personalità, che gridano da lontano: Sono io!