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xviii introduzione


bordo c’era posto per trecento chili di benzina e cento d’olio, quantità sufficiente a percorrere circa mille chilometri. Ai depositi ce n’era sempre tanto da riempire completamente il carico della vettura; e questi depositi, che, per ragioni di trasporto, erano distanti circa settecento chilometri in Mongolia, erano scaglionati su distanze varianti da duecentocinquanta a un massimo di cinquecento chilometri sul percorso Russo, dove spesseggiano i luoghi accessibili per ferrovia o per via fluviale. Da Irkutsk in là i pneumatici Pirelli mi attendevano ogni mille o millecinquecento chilometri.

E fummo fortunati. Mai una volta ci trovammo a corto di carburante o di lubrificante; mai ci mancò la provvista dei pneumatici, della quale facemmo del resto così scarso uso.

Una cosa sola non corrispose ai nostri desideri, e fu bene. Avemmo così la dimostrazione che i nostri calcoli erano stati precisi.

Le ruote e le molle di ricambio, per difficoltà con la Dogana Austriaca, non raggiunsero Omsk, dovettero essere fermate a Mosca: e noi entrammo a Kazan zoppicando sulle molle spezzate e sulla ruota, che l’ascia del “mujik„ latinista ci aveva riparata, in un dopo pranzo di festa, sulle rive della Kama.

E un’altra cosa avrebbe dovuto essere più curata: il “confort„ dei viaggiatori sulla vettura e la disposizione del bagaglio.

Ella, che ne ha sofferto più di tutti, ricorda certo come fino alla vigilia dell’arrivo a Parigi non avessimo trovata la forma definitiva da dare a quell’informe cumulo di valigie e di sacchi che, accatastato sul cassone dei ferri e troppo spesso sulla sua schiena, era il nostro bagaglio.

Ettore aveva un bel legarlo con ogni attenzione, senza economia di corde e cordelline, con la più grande ingegnosità di trovate; le scosse della vettura allentavano le più sapienti combinazioni e il grosso sacco poco alla volta oscillava e si apriva. — E Ettore ricominciava. — Quanto lavoro ha fatto quel bravo figliuolo in quei sessanta giorni! Egli è stato davvero la mano intelligente che guida lo scalpello. Senza le sue