Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/273


sulla via di kiakhta 223


ripetè. Era un battere rapido, leggero, incomprensibile, vicino. Piano piano sollevammo un lembo della tenda, e guardammo....

— A momenti sparavo! — esclamò Ettore sorridendo — Chi immaginava che facesse tutto questo rumore di notte. Mi ha svegliato!

Era la bandiera. La nostra bandiera, issata sull’automobile, che ad ogni soffio d’aria sventolava, si agitava, e sbatteva lievemente.

Pareva che essa vivesse e vegliasse.


Eravamo stati accampati soltanto a pochi chilometri dal fiume, che passammo, a guado veloce, alla mattina del 24 Giugno, di buon’ora. Avevamo lasciato le montagne alla nostra destra, e ci avvicinavamo, verso ponente, al corso dell’Orchon, attraverso una serie di pianure acquitrinose. Ma stavamo bene in guardia contro le insidie del terreno. Avevamo avuto una lezione dura, ma utile. Non spingevamo avanti l’automobile se prima il suolo non era stato accuratamente esplorato, studiato, discusso, il pericolo ci circondava da tutte le parti; spesso sentivamo improvvisamente sotto il nostro piede la mobilità ondeggiante del pantano nascosto e ci ritiravamo con un senso di ribrezzo, come se avessimo calpestato un rettile, gridando ad Ettore, che guidava cautamente la macchina dietro ai nostri passi:

— Indietro! Indietro subito!

E cercavamo nuovi passaggi. Qualche volta non trovavamo via d’uscita, e dovevamo retrocedere per tentare altrove. Piano piano, con pazienza riuscimmo a districarci dagli acquitrini, ed a raggiungere le colline che si allungano, nude e sabbiose, fra l’Orchon e l’Iro.

Fino dalla sera precedente avevamo scorto sul suolo dei segni che ci avevano interessato. Erano le traccie d’un carro, e le impronte dei passi di due europei. Quando per migliaia di chilometri non si sono viste che delle orme di scarpe cinesi e di stivali mongoli, il calco d’una suola europea fa l’effetto del ri-