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220 capitolo X.


esser là! — ma il fiume non si vedeva, e noi andavamo a cercarlo più avanti, con nuova fiducia.

V’era la luna. Non avevamo fanali; cioè li avevamo, ma non erano preparati per essere accesi. Ci trovavamo in mezzo ad una quantità di alture, e il sentiero s’insinuava in strette valli, saliva, scendeva, reso appena visibile per l’erba dei bordi. Lo guardavamo intensamente nella paura di perderlo. E al nostro occhio stanco, sotto alla luce spettrale della luna, tutto prendeva un aspetto pauroso, incerto e fantastico. I profili delle colline, le ombre cupe dei valloni, gli arbusti, ci facevano sussultare alle volte perchè non li riconoscevamo; assumevano apparenze misteriose e indefinibili. Ci pareva di sorprendere un lento moto nelle cose, uno strisciare silenzioso d’ignote forme intorno a noi. Chi ha viaggiato di notte per regioni sconosciute e deserte ha visto queste trasformazioni bizzarre, e tornato di giorno negli stessi luoghi si sarà sorpreso di trovarli tanto diversi. Si direbbe che la terra profitti dell’oscurità della notte per vivere una sua vita mostruosa. È che nella notte tutto quello che c’è di favoloso, di stravagante, di assurdo nella nostra fantasia, esce e prende posto nell’ombra. Non vi sono due persone che vedano allo stesso modo un paesaggio notturno: ognuna vede il suo paesaggio.

Infatti ciascuno di noi, in quella indimenticabile sera, scorgeva qualche cosa che gli altri non riuscivano a vedere. Erano fiumi, erano case, erano uomini immobili, visioni che svanivano avvicinandosi. Il terreno sembrava buono per la corsa, ma di quando in quando sentivamo stridere la sabbia sotto le pneumatiche che affondavano, e il motore si “affaticava„. Allora la macchina era messa a tutta forza per non arenare. Ad un certo punto vedemmo realmente degli esseri che si muovevano: erano cammelli. Passammo vicino ad una carovana accampata. Due uomini erano in piedi presso al sentiero. Si volsero con moto repentino, e non si mossero più. Avremmo voluto poter scorgere l’espressione dei loro visi all’apparizione subitanea di quell’enorme massa nera che fuggiva rombando per le solitudini del Daturbada.