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sulla via di kiakhta 219


La carrozzeria tornò al posto in pochi minuti. Il bagaglio, le gomme di ricambio, le provviste e gli attrezzi, furono caricati con una rapidità festosa. Mezz’ora dopo eravamo pronti a ripartire. I mongoli ebbero una generosa distribuzione di rubli, salutata con esclamazioni d’entusiasmo e con gesti della più espansiva amicizia. In quel mentre il capo buriato s’appressò e stese anche lui la mano. Borghese gli disse sorridendo:

— Niente lavoro, niente denaro!

Il buriato ritirò la mano, e con una torva occhiata rispose:

— Non ho bisogno del tuo denaro!

Ed aggiunse parole che non comprendemmo. Poi lo vedemmo montare a cavallo e far cenno alla sua tribù di rimettersi in marcia. La lunga fila di teleghe si allontanò.

Domandammo ai mongoli una guida. Uno di loro si offrì. Montò a cavallo e noi lo seguimmo. Tutti gli altri ci scortarono. Erano pieni d’ingenua contentezza, facevano delle gran galoppate intorno a noi, gridando e ridendo. Alcuni cavalli portavano due cavalieri, come laggiù ad Urga nel sèguito del governatore. La guida eseguiva il suo compito con molta dignità. Percorrevamo un vero labirinto, rasentando ogni tanto delle paludi, serpeggiando fra gli alti giunchi e i ciuffi d’iris nella vasta e desolata pianura acquitrinosa. Il sole tramontava, e sulla terra si spandeva una bruma che dava al paesaggio un indicibile colore di tristezza.

Al limite del piano la strana cavalcata ci abbandonò e si disperse. La guida consentì ad indicarci una strada che evitasse le montagne. Quando ci lasciò era quasi notte. Il suo cavallo tremava di stanchezza. Dopo averci salutati, e ringraziati per il compenso che gli avevamo dato, l’uomo si sdraiò sull’erba. Noi continuammo il cammino. Avevamo bisogno di acqua per la macchina e per noi; non potevamo fermarci senza averla trovata. Ci aspettavamo da un momento all’altro la comparsa del fiume Chara-gol. Guardavamo ansiosamente avanti a noi, e ad ogni vallata, ad ogni folto di vegetazione, dicevamo: Il fiume deve