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204 capitolo ix.


sava a poche centinaia di metri da noi sul declivio d’una collinetta, condotta da mongoli. Si era avvicinata lentamente, e noi, tutti intenti all’inutile lavoro, non vi avevamo fatto caso. Ma appena l’osservammo, senza scambiarci nemmeno una parola, comprendendoci al solo sguardo, ci precipitammo di corsa verso quella lunga fila di carri. I carri erano carichi di travi. Erano dei tronchi sottili di pino, destinati senza dubbio alle palizzate tradizionali della città santa.

Qualche moneta convinse i mongoli delle nostre buone intenzioni. Del resto loro avevano senza dubbio capito, per la pratica di quella sorta d’incidenti. Ci caricammo ognuno una trave sulle spalle, i mongoli fecero altrettanto, e giù di corsa, verso l’automobile. In quella circostanza, provando e riprovando, adoperando i tronchi di pino in tutti i modi possibili ed immaginabili, riuscimmo a trovare un sistema di leve destinato a salvarci in quella e in tutte le altre simili occasioni dell’avvenire.

Il sistema era molto semplice: immaginate una leva di secondo grado il cui punto di resistenza, alla sua estremità, serva da fulcro ad un’altra leva di secondo grado, la quale agisca definitivamente sul mozzo della ruota affondata; basta la forza di due uomini, se le travi sono lunghe, a sollevare un’automobile. E disponendo dell’aiuto di quattro o cinque persone, una sola leva è sufficiente allo scopo. A mano a mano che rialzavamo così la macchina, con la cooperazione volonterosa di quei buoni carovanieri, riempivamo l’alveolo scavato dalle ruote con delle pietre, che andavamo a raccogliere in un fosso poco lontano. L’automobile, ad ogni sosta del lavoro, col suo peso affondava le pietre nella melma, ma ne affondò tante che finì col farsi una base solida, una vera massicciata.

Dopo due ore e mezza di assidua fatica, avevamo portato tutte e quattro le ruote al livello del suolo. Non rimaneva che trascinar via la macchina a ritroso, fuori dal terreno incerto. Ricomparvero le corde, che attaccammo solidamente allo chassis — ripensavamo alla Grande Muraglia — ci mettemmo a tirare, noi