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178 capitolo viii.


al ventre caldo dell’automobile stillante olio cotto; alle volte si alzava dal giaciglio in ore impossibili, preso da un dubbio, e allora nella notte lo sentivamo svitare dei dadi, smontare dei pezzi per osservare gli organismi più delicati, rimettere ogni cosa al posto. All’alba era sempre inappuntabilmente pronto per andare a... Kalgan.

Quella mattina ritrovavamo le grandi mandrie di cavalli, che ripetevano le loro superbe manovre intorno a noi. Incontravamo dei mandriani; vedevamo delle yurte; cani da pastore, neri e pelosi, c’inseguivano; greggi di pecore si dissetavano ai pozzi; delle carovane viaggiavano in pieno giorno. Rientravamo nella vita. Tutto ci rallegrava. Quando non parlavamo, cantavamo. Il Principe, guidando, fischiettava la sua aria favorita, la Petite Tonkinoise, alla quale io univo un sapiente accompagnamento.

Qualche gruppo di antilopi brucava lontano, e sorpreso dall’automobile prendeva la fuga attraversando la strada avanti a noi. Non avevamo ancora osservato questo curioso modo di fuggire, particolare alle antilopi, che spesso conduceva le povere bestie atterrite, sopraffatte dalla nostra velocità, a poche decine di metri da noi. I cacciatori conoscono bene tale strana tattica, e non galoppano mai direttamente verso la selvaggina, la cui corsa è più veloce di quella del cavallo mongolo, ma deviano, quasi per lasciarla da una parte, sapendo che l’antilope si precipiterà a tagliare la loro via passando a tiro del fucile. È la primitiva astuzia contro l’inseguimento quella d’incrociare ad angolo retto avanti al nemico, supponendo che il suo impeto stesso lo conduca così fuori di direzione, e lo obblighi a perdere tempo per girarsi e ricominciare.

Ad un tratto scorsi nella prateria, a qualche chilometro da noi, sulla sinistra, una lunghissima striscia rossastra che si muoveva velocemente. Si spostava verso destra, tutta tremula, velata da una leggiera polvere.

— Guardate! Guardate! — gridai indicandola.

Al primo momento non comprendemmo di che si trattasse.